Chi “ha paura” di nominare la violenza?

La Terza Sezione penale della Corte di Cassazione, il 15 ottobre 2013, ha annullato la sentenza con la quale la Corte d’Appello di Catanzaro, nel 2011, condannava un sessantenne, addetto ai servizi sociali del comune di Catanzaro, per aver abusato di una bambina di undici anni che gli era stata affidata. Fra i motivi dell’annullamento, la Corte rimanda alla sentenza d’appello, che avrebbe disconosciuto (in via considerata troppo generica) la possibilità di concedere le attenuanti relative ‘alla minore gravità del fatto’.

Noi avvertiamo l’urgenza di prendere la parola per nominare, e denunciare, l’insopportabile attacco che viene mosso alla nostra libertà, alla giustizia ma, soprattutto, ad una bambina di 11 anni. Quali sono le ‘attenuanti’ che la Corte d’Appello di Catanzaro avrebbe trascurato di considerare? Secondo la Cassazione il consenso della vittima e la circostanza che i rapporti sessuali si erano innestati nell’ambito di una relazione amorosa. Questo perché, l’atto sessuale si inseriva nell’ambito di una relazione amorosa; e che, sebbene l’abuso sessuale sia sempre connotato da grave invasività fisica, lo stesso nel caso di specie non poteva ritenersi invasivo allo stesso modo dell’ipotesi in cui avvenga con forza e violenza e al di fuori di una relazione amorosa, atteso che nel primo contesto derivano più contenute conseguenze negative alla minore sul piano psicologico. In definitiva, la sentenza di condanna avrebbe mancato di considerare e valutare gli ulteriori e attenuativi aspetti della vicenda prospettati dalla difesa, quali il “consenso”, l’esistenza di un rapporto amoroso, l’assenza di costrizione fisica, l’innamoramento della ragazza.

Come si possano anche solo ipotizzare ragioni mitigatorie attenuative e con simili motivazioni, rispetto ad una bambina di 11 anni, è cosa che ci lascia sconcertate. Relazione amorosa, consenso, assenza di costrizione fisica, sono temi e ‘giustificazioni’ che negli ultimi anni si sono rincorse sui media e nelle arringhe di avvocati poco accorti. Che si pensi di poterle utilizzare sulla pelle di una bambina ci pare un abominio; che sia proprio la Corte di Cassazione a suggerire di considerare come amore il rapporto tra una bambina e un uomo adulto, cui è stata affidata, rintracciandovi un dispositivo attenuante, ci sconvolge. Temiamo che questa inaccettabile interpretazione, che sottende ad un modello culturale scellerato, possa rappresentare un precedente molto pericoloso. Riteniamo indecente qualunque interpretazione che rinunci a nominare la violenza sulle bambine e che siano le istituzioni stesse ad ignorarla o mistificarla, nella consapevolezza che non si può confondere la storia di bambine e donne con la collusione alla violenza, quasi come se questa fosse parte del corso naturale delle cose.

Rigettiamo al mittente tentativi di questo genere e manterremo alta l’attenzione su questa vicenda, attraverso iniziative specifiche. In particolare vigileremo affinché la Corte di Appello di Catanzaro, cui oggi spetta il compito di decidere, nomini la violenza e affermi con chiarezza un principio di giustizia per questa bambina, ma anche per tutte le altre.

Giovanna Vingelli, Cs                       Centro antiviolenza Mondo Rosa

Doriana Righini, Cz        Centro contro la violenza alle donne “R. Lanzino”

Isolina Mantelli , Cz                      Casa delle Donne Ester Scardaccione

Teresa Scamardì, Cz                           Centro di ascolto DNA Donna

Franca Fortunato, Cz                                 Associazione daSud

Denise Celentano

Celeste Costantino, Roma

Paola Bottero,Roma

Pina Nuzzo, Roma

Adriana Papaleo, Cz

Sabrina Garofalo, Cs

Laura Triumbari, Roma

Cinzia Paolillo, Roma

Maria Cristina Guido, Cs

Laura Cirella, RC

Monica Francioso, RC

Marina Martino, Cs

Enza Miceli, Le

Tiziana Calabrò, RC

Laura Lombardo , Cs

Elena Bova, Cz

Lorenza Valentini, Roma

Guglielmina Falanga, Cs

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116 pensieri su “Chi “ha paura” di nominare la violenza?

  1. Sono Ettore Zerbino, medico psichiatra, attualmente in pensione dal personale docente dell’Università Cattolica di Roma dove ho lavorato fino al 2001. Fino a quella data sono stato ordinario della SPI nell’International Psychoanalytical Association.
    Condivido e do la mia firma di sostegno alla vostra dichiarazione del 19 dicembre 2013.
    Mi soffermo solo a confermare il valore del termine di “abominio”, usato così a proposito (l’abominio si verifica quando un’istanza giudicante giustifica una turpitudine morale con le stesse giustificazioni usate da chi l’ha perpetrata) da suggerire un’ulteriore qualificazione. Qual’è l’abominio su cui la magistratura, al suo massimo livello, ha di fatto chiuso un occhio? Si chiama seduzione ed è la parola mancante nel vostro testo che rileggo e a cui aderisco. Di seduzione nei confronti del soggetto infantile fa ampio e determinante uso la perversione (intesa quest’ultima come categoria sintomatica ed etica). Non so se come tale, cioè come seduzione che tende a pervertire l’innocenza infantile (altro che innamoramento, è seduzione e in quanto tale violenza…), il delitto sia sanzionato in sede di Codice Penale.
    Davvero c’è da vigilare affinché chi amministra la giustizia “nomini la violenza”, come dite bene a conclusione dell’ottima dichiarazione. Grazie.
    Ettore

  2. “consenso della vittima”
    ”assenza di costrizione fisica”
    “l’atto sessuale si inseriva nell’ambito di una relazione amorosa”

    Come è possibile che giudici parlino di “consenso” e di “assenza di costrizione fisica” per una bambina?
    Come è possibile che giudici parlino di “relazione amorosa” tra un adulto e una bambina abusata?
    Si dimentica che il minore si fida dell’adulto, si affida, dunque parlare di “consenso” significa mistificare la realtà della relazione tra un adulto e un bambino, relazione che deve essere primariamente di cura e protezione.
    Si dimentica che, in questo caso, il potere che ha l’adulto sulla bambina è doppio perché, appunto, è un adulto e perché la bambina gli era stata affidata per garantire la protezione e la tutela legale, quindi l’autore è doppiamente colpevole.
    Non è possibile usare queste motivazioni che mistificano la realtà della condizione psico- emotive del bambino, perché contrarie a qualsiasi fondamento scientifico e ai risultati degli studi di neuropsichiatria infantile.
    Una bambina, doppiamente violata nel corpo e nella capacità di fidarsi dell’adulto, sarà danneggiata per tutta la sua esistenza.
    Margherita Rimi (Neuropsichiatra Infantile)

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